L'aratro, tra gli strumenti a traino usati in agricoltura,
occupa senza dubbio il primo posto per importanza del
lavoro eseguito, per universalità e antico impiego.
La sua origine pare che si possa fare risalire a periodi
antecedenti il IV millennio (età del Bronzo) in Asia
Minore e nei paesi dell'area Mediterranea. Più
specificatamente in Egitto troviamo resti di aratro
trainato da buoi, raffigurati su papiri e incisioni già
nel III millennio a.C.
Leggendo il Vangelo secondo Luca (Lc 9, 51-62), troviamo
che, all'invito di Gesù ad andare a Gerusalemme: "…Un
altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che
io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli
rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si
volge indietro, è adatto per il regno di Dio»".
Oltre all'insegnamento cristiano, ci viene data una
delle principali regole per fare una buona aratura: bisogna guardare
sempre avanti per fare in modo di creare un nuovo solco di lavorazione (vissura)
alla giusta distanza dal precedente, evitando di
lasciare spazi di terreno non dissodato, in altre parole
il contadino se vuole arare diritto non può permettersi
di guardare indietro.
L'aratro viene considerato una sorta di evoluzione della
zappa, del piccone o della vanga, utilizzato per la
lavorazione dei terreni, specie per quelli destinati
alla coltivazione del grano. Grazie all'aratro è stato
possibile poter procedere alla semina del grano in vaste
aree e soprattutto di mettere a coltura dei terreni
difficili, per eccessiva compattezza e/o inerbimento.
Nelle sue parti essenziali l'aratro chiodo si compone
delle seguenti parti:
- il dentale, vero corpo
lavorante, costituito da un tronco in legno, appuntito
nella parte distale per scalfire e lavorare il terreno.
Nel tempo ricoperto dal vomere, un ferro a forma di cono
vuoto, appuntito anteriormente che, serviva a scalfire,
rompere e smuovere il terreno; |
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- la stiva o stegola, barra di legno munita di presa che
aveva la funzione di braccio di guida dell'aratro;
- la bure (con timone, ove presente), barra di legno a
cui si attacca il traino (uno, coppia o più equini o
bovini).
La regolazione di profondità di lavorazione era affidata
al profime (tinnigghia), pezzo di legno o di ferro, che collega il
dentale con la bure. Nel corso degli ultimi secoli praticamente l'aratro
chiodo è rimasto inalterato, fatta eccezione di piccoli
adattamenti in funzione degli usi locali e delle
caratteristiche dei terreni da lavorare.
Solo dopo la prima metà del XX secolo viene lentamente
abbandonato per cedere il posto agli aratri in ferro
trainati dalle trattrici. |