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Ingredienti del  pane

    La farina

Il pane si ottiene dall'unione di pochi e semplici ingredienti: farina, acqua, lievito e sale, mescolati tra loro per formare l'impasto che, dopo aver subito il fenomeno fermentativo, conoscerà i calori del forno per presentarsi sotto forma di pagnotta, michetta, ciabatta e quant'altro. 

La farina deve possedere:

- un buon grado di assorbimento idrico finalizzato alla elevata resa in pane;

- un elevato contenuto proteico, e di conseguenza in glutine, con ottime proprietà elastiche;

- una buona stabilità dell'impasto durante il ciclo lavorativo;

- un contenuto d’acqua inferiore al 18%,  perché farine eccessivamente umide perdono in lucentezza, si ammassano in grumi, si riscaldano e fermentano, possono arrecare odori sgradevoli di muffa, di marcio e di acido acetico nonché sapori inizialmente dolciastri che poi diventano acri e amarognoli.

La migliore panificazione si ottiene dalla farina macinata da pochi giorni; il macinato diventa vecchio trascorsi 6-10 mesi dalla molitura.

Anche se in minori quantità, si utilizza anche la farina di segale, avena, orzo, mais - che nella grana media è utilizzato per le polente e apporta al pane consistenza granulosa e sapore vagamente dolce. Ricca di proteine e caratterizzata da un sapore che ricorda quello delle noci è la farina di farro. Ed ancora sfarinati di ceci, riso integrale, patate (o fecola), per finire con il prodotto grigio­bruno ricavato dal grano saraceno.

   L'acqua

 È grazie all'impiego dell'acqua che la frazione proteica solubile (albumine e peptidi) e insolubile (gliadine e gluteline) si trasforma, stabilendo interazioni che portano alla formazione di un composto molto coesivo, il glutine, dotato di proprietà elastiche e viscose utili nel formare un reticolo in cui rimangono imprigionati i piccoli granuli di amido e i gas formatisi durante il processo fermentativo.

L'acqua, influenzando le qualità organolettiche del prodotto, deve essere potabile, a basso contenuto di sali terrosi, non  eccessivamente dure o clorate; il solfato di calce o gesso è la sostanze salina più dannosa perché osta­cola il rigonfiamento della pasta e apporta un colorito grigiastro alla crosta.

La percentuale di acqua necessaria per l’impasto si aggirerà tra il 55 e il 65%.

  Il sale

Il sale è utile perché si contrappone a una fermentazione troppo tumultuosa, ostacola la nascita dei batteri nemici del glutine, rende il pane più appetibile e digeribile, lo arricchisce di igrosco­picità rallentandone il deterioramento. Va integrato all'impasto dopo essere stato sciolto in acqua calda, in misura di 0,5 - 2% del peso della farina.

   Il lievito

 Durante il processo di fermentazione-lievitazione la massa impastata gonfia grazie al lavoro dei lieviti che, attraverso i loro enzimi, trasformano gli zuccheri, naturalmente presenti nell'amalgama, in anidride carbonica e acido lattico, o alcol, a seconda che sia utilizzato lievito naturale - detto anche madre - oppure lievito di birra. Si può impiegare anche pasta acida, biga, un surrogato o un succedaneo secco che dispone di una lunga stabilità.

Il lievito di birra oggi si ricava dalla coltura di particolari ceppi microrganici (Saccaromyces cerevisiae) ed è messo in commercio sotto forma di pani compressi (60-75% di acqua) oppure essiccato (4-10% di parte liquida).

Il lievito madre, comunemente usato nel passato, è di preparazione laboriosa, lenta e impegnativa ma sicu­ramente appagante sotto l'aspetto qualitativo. Si tratta di un normale impasto di farina e acqua che, lasciato per qualche tempo all'aria, fermenta e acidifica spontaneamente per opera di eterobatteri e, in misura minore, di batteri lattici.

L'impasto madre va rinvigorito da continue, quanto cadenzate, aggiunte - detti rinnovi o riporti - di acqua e farina, utili a impedire la formazione di un coefficiente di acidità troppo alto che verrebbe trasmesso al pane insieme a un odore acre e sgradevole. Questo composto gonfio e molle, aggiunto in una proporzione pari al 40-45% all'impasto base, funge da agente lievitante per far partire nuove fermentazioni. Si tratta di una lievitazione lenta, ma è proprio la maggiore durata del processo a permettere agli enzimi proteolitici di lavorare più a lungo, creando le premesse affinché il prodotto finito abbia un alto contenuto in amminoacidi liberi, deci­sivi per apportare una gradevole fragranza, un più variegato spettro aromatico, una lunga conservabilità dovuta a un elevato grado acidità (pH 4-4,2, a fronte del 5,5 dovuto all’uso del lievito di birra) che preserva il prodotto da attacchi fungini e dal raffermamento; inoltre, il graduale sviluppo di anidride carbonica favorisce la formazione di una mollica dall'alveolatura minuta e uniforme. Tale lievitazione inoltre, liberando composti facilmente assimilabili dall'organismo umano, garantisce una più facile digestione. Anche perché grazie a essa un enzima, la fitasi, presente nella parte più esterna del chicco di frumento, riesce a scomporre l'acido fitico - elemento insolubile - in composti alta­mente assimilabili.

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   Altro

Oltre detti ingredienti primari, ne possono comparire altri nella preparazione di pani speciali. I grassi  (burro, strutto, olio vegetale) sono utilizzati per conferire maggiore morbidezza e gusto al prodotto, anche se solo l'olio extravergine di oliva è capace di sopportare le alte temperature di cottura senza dar luogo a sostanze dannose. Il miele accentua il colore della crosta e “marca" il pane, comunicandogli le proprie caratteristiche organolettiche; in più, grazie alla sua capacità regolatrice dell'umidità, lo mantiene soffice più a lungo. Spezie, frutta e aromi sono spesso presenti nell'impasto o ne colorano la superficie: i più frequenti sono i semi di sesamo, di papavero, di zucca, l'anice, il pomodoro, il peperoncino, le noci, le cipolle, il basilico, il rosmarino, il cumino, il coriandolo, l'uva passa, le olive, le acciughe.

   La lavorazione

Sintetizzando, il processo produttivo può schematizzarsi nelle seguenti fasi:

1. Preparazione degli ingredienti; 2. Miscelazione degli ingredienti e impastatura; 3. Creazione della forma; 4. Fermentazione e lievitazione (generalmente divisa in due tempi); 5. Cottura; 6. Raffreddamento.

L’impastatura risulta un passaggio piuttosto delicato: durante questa fase l'acqua viene assorbita dalla farina, l'amido si rigonfia mentre le proteine, idratandosi, si combinano fra loro per formare il complesso visco-elastico del glutine. Il sale favorisce la formazione del glutine in fibre corte e gli conferisce maggiore compattezza. L'amido, imbibito di acqua, si lega al glutine creando un intreccio omogeneo; in tal modo si forma il reticolo indispensabile per trattenere l'anidride carbonica sviluppata durante la fermentazione. L'impastatura, eseguita da impastatrici meccaniche, deve essere delicata e avere ritmo cadenzato e non molto rapido (almeno 15 minuti), per formare una pasta sufficientemente amalgamata che, una volta estratta dalla macchina, affronterà il processo fermentativo.

La lievitazione naturale è affidata a spontanee trasformazioni do­vute ai microrganismi presenti nelle farine, la cui variegata composizione comprende numerose famiglie di lieviti e vari organismi privi di clorofilla, compresi i fermenti lattici. Questi gruppi microbici fanno sì che, oltre alla formazione di gas per fermentazione degli zuccheri, si sviluppi un processo di acidificazione dovuto, essenzialmente, agli schizomiceti, con conseguente genesi di acido lattico e acetico oltre ad altri composti volatili: questo spiegherebbe perché il pane ottenuto con madre o con pasta acida sia sempre accompagnato da un'avvertibile nota acidula (tanto meno accentuata, quanto più il prodotto è di qualità), unita ad aromi di una certa complessità.

Una volta terminata la fase di prima lavorazione e lievitazione, la massa è divisa in pani della forma e peso voluti e si arriva a un'ultima e più breve lievitazione durante la quale le pagnotte devono riposare in luoghi con temperatura e umidità adeguate per il tempo sufficiente a garantirne la giusta "crescita", per poi essere infornate.

    Il forno

 I primi, rudimentali forni consistevano in una pietra rovente sulla quale erano appoggiati gli impasti che, colpiti da improvviso calore, si trasformavano in antenati delle odierne focacce. Fu l'intelletto degli Egizi a fornire i panettieri di qualcosa di riconducibile a un forno. Il primo intervento portò alla fabbricazione di piccole costruzioni tronco-coniche in mattoni d'argilla divise in due parti: nell'inferiore, separata dall'altra da una lastra in pietra che fungeva da agente trasmettitore del calore, bruciava il combustibile - naturalmente legna -, mentre nella parte superiore erano sistemati gli impasti. Successivamente fu concepito un "forno a pozzo", costituito da una buca rivestita di pietre all'interno della quale era bruciata legna: in questa primordiale camera di cottura, una volta rimossi i residui della combustione, trovavano posto le forme di pane. Toccò ai Greci perfezionare i vari metodi fino a giungere all'ideazione della volta a cupola che, in seguito, divenne forno a camera unica.

I forni a legna devono essere costruiti in mattoni pieni, possibilmente fatti a mano, propensi a riscaldarsi lentamente e ancor più pigramente a raffreddarsi; il graduale raffreddamento è garantito anche dall'opportuno rivestimento in materiali naturali come cenere o sabbia. Il rapporto "cielo/terra", cioè la relazione tra il diametro della circonferenza di base,  e l'altezza della cupola, va calcolato con precisione, perché risulterà decisivo nelle fasi di cottura. Fondamentale è poi la centratura della volta: solo un perfetto posizionamento consentirà di concentrare in modo uniforme la riflessione del calore, dall'alto al basso, cuocendo in maniera uniforme i pani.

Questo forno va riscaldato, mediante l'accensione di fascine, che vanno fatte bruciare fino a quando le pareti interne non assumono una colorazione bianca; a questo punto si deve pulire la superficie e poi testare la temperatura, utilizzando, in mancanza di un termometro, un pezzo di pasta (se diventa troppo scura significa che il forno è eccessivamente caldo) o un po' di paglia (se brucia diventando nera la gradazione è elevata, di contro colorazioni tendenti al marrone sanciscono l'esatto grado di cottura). Va regolamentata, eventualmente sistemando all'interno un piccolo recipiente con acqua, anche l'umidità che, se carente, causerebbe la formazione di una crosta esageratamente dura.

Oggi i forni più utilizzati dai panettieri sono ciclo termici (basati sulla circolazione forzata d'aria o gas caldi o di vapore), elettrici (il calore è fornito da una resistenza elettrica), a platea rotante, a bilancelle o a tunnel.

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La qualità del pane

Come sempre, quando si tratta di alimenti, il metodo cui fare ricorso è quello dell'analisi organolettica, proce­deremo a un triplice esame: visivo, olfattivo e gustativo.

L'analisi visiva tocca, oltre alla dimensione e alla forma, il colore del pane. Esso è influenzato, prima di tutto, dal tipo di farina utilizzata e dal suo livello di raffinazione: l'integrale e la semi integrale rendono più scura la tonalità della pasta e le conferiscono, garantendo un adeguato grado di umidità, una buona elasticità che meglio la conserva.

E’ importante, poi, il procedimento lievitante usato: la madre, attraverso l'azione dei batteri, tende a decolorare i prodotti solubili fornendo - a parità di farina usata - una mollica lievemente più chiara.

La crosta può pertanto assumere colorazioni che vanno da quella del grano maturo al marrone più o meno intenso; la parte interna (mollica), invece, sfuma dall'avorio verso tinte più scure, senza mai arrivare a richiami grigiastri.

Un pane prodotto con farine buone e sane si presenterà rigonfio, leggero, con una superficie appena rugosa, sonoro quando leggermente percosso, con crosta e mollica ben aderenti l'una all'altra.

Nella mollica l'alveolatura deve essere fine e abbondante e, se alcune cavità un po' più grosse sono accettabili, sono senz'altro da evitare panini completamente vuoti all'interno, frutto di lievitazioni rapide e spinte.

Saggiata al tatto, la consistenza della mollica - che non deve ammassarsi se stretta tra le dita - deve essere quasi spugnosa, soffice ed elastica. Queste qualità sono più facili da raggiungere con l'utilizzo di lievito acido che sviluppa molto più lentamente l'anidride carbonica, permettendone un più facile assorbimento da parte dell'impasto.

Un pane con poco sale non ben lavorato, denota scarsa consistenza, rivelandosi molle e colloso.

L'esame olfattivo si sviluppa in due fasi: una prima inspirazione diretta sarà seguita da un'attenta disanima degli odori per via retro nasale. Mantenendo l'alimento in bocca, inspiriamo dalla stessa ed espiriamo attraverso il naso: in tal modo potremo percepire anche i sentori più fuggevoli e quelli più restii a volatilizzarsi.

Un pane fatto seguendo procedure tradizionali (lievito madre, farine integrali ecc.) offre profumi ampi e intensi, facilmente collegabili ai cereali di partenza, all'operato degli acidi acetico e lattico, con richiami di grano, di farina appena setacciata, di miele. Viceversa, la quantità di aromi di un pane ottenuto mediante l'esclusivo utilizzo di lievito di birra è piuttosto limitata, specialmente se figlio di farine molto raffinate.

L'assaggio termina con la masticazione della pagnotta. Il pane in bocca deve rivelarsi friabile, lievemente elastico, e possedere buona estensione palatale senza tendere alla formazione di grumi. Il sapore combina i sentori vagamente dolci della farina, il tostato della crosta e la sensazione acida del lievito e infine una nota di sapidità.

Sezione tratta da: L'Italia del Pane, Slow Food Editore, 2002

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