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             Legno e carta   

Il Legno

Il legno per la sua "plasticità" da sempre viene utilizzato per costruire case, arredi, strumenti di lavoro, imbarcazioni, sculture e oggetti vari.
Al "mastro d'ascia", ossia all'esperto falegname veniva assegnato il compito di lavorare il legno per ricavare beni d'uso di ogni genere, utilizzando antichi strumenti (seghe, seghetti, pialle, scalpelli, ecc.) che solo in questi ultimi decenni hanno ceduto il passo alle nuove tecnologie.
Dai dati Istat si evince che le superficie boschive del territorio provinciale sono di Ha. 25.000, circa. Le colture boschive, in gran parte concentrate nella zona etnea, oltre ad avere una grande importanza per la tipicizzazione dei nostri paesaggi e per gli assetti idrogeologici, rappresentano una notevole risorsa economica sia per i frutti e sia per il legno che si ricava.
Tra le specie a maggiore diffusione va ricordato il castagno.
Il bosco di castagno ceduo viene tagliato intorno ai 18 - 20 anni di età; per permettere la sopravvivenza della ceppaia si dovranno togliere solo alcuni polloni e dovranno essere salvate almeno due matricine da eliminare tra i 40 e i 50 anni.

 

Il taglio si effettua a fior di terra e con l'accetta; il castagno abbattuto viene lasciato sul terreno per alcuni giorni per poi procedere al taglio dei rami. I tronchi dopo un primo sezionamento e una fase di essiccazione in campo, vengono trasportati in segheria per essere tagliati trasversalmente in grossi toppi di lunghezza variabile. Successivamente si segano in tavole di vario spessore, in travi, pali per la recinzione e pali per la palificazione dei vigneti, ecc. Il tavolame, lavorato in doghe di varia lunghezza e larghezza, porta alla produzione di botti, barili, tini e mastelli.
Si tratta di una produzione tipica, collegata alla tradizione vitivinicola dell'area che, in un passato non troppo lontano, ha assunto un peso rilevante nell'economia locale.
Le fasi della lavorazione, effettuate ancora oggi quasi esclusivamente a mano, si distingue per difficoltà quella della piallatura delle doghe con la quale si conferisce, alle stesse, la tipica forma ricurva. Effettuata la piallatura, le doghe sono assemblate, le une al fianco delle altre, in guisa circolare, così da ottenere un primo abbozzo di botte che, in questa fase, assume una tipica forma a campana. Il manufatto in questo modo ottenuto è tostato sul fuoco (oppure mediante vapor d'acqua), per un periodo che varia, a secondo dello spessore del legno, dai 30 agli 80 minuti. La tostatura è una fase delicata poiché ad essa è affidato il duplice scopo di bonificare il legno, liberandolo da eventuali parassiti e funghi, ma anche di aromatizzarlo portando a maturazione aromi e fragranze che saranno successivamente trasferiti al vino. Raggiunta la tostatura desiderata, la botte è dapprima stretta con un cavo d'acciaio e, poi, collocata di nuovo sul fuoco per la dilatazione e l'asciugatura finale. Le successive fasi di lavorazione comprendono la capruggine della botte, vale a dire la scanalatura della testa allo scopo di creare l'invito per l'incastro dei fondi, l'inserimento dei fondi, la levigatura esterna, e, infine, la cerchiatura effettuata mediante anelli d'acciaio uniti tramite ribattini. La botte è quindi immagazzinata in depositi sotterranei per la stagionatura definitiva: quando esce è pronta per la cantina.

Il sughero

Il sughero è un prodotto naturale dalle proprietà eccezionali e anche se non molto conosciuto dai contemporanei, utilizzato da migliaia di anni dall'uomo per isolare, sigillare, proteggere.

Nessun materiale artificiale di "'moderna" concezione è stato collaudato nel tempo quanto il sughero, nei più disparati impieghi.  Contrariamente a molti materiali isolanti chimico-sintetici il sughero non emana alcun gas tossico in caso d'incendio, non si scioglie e non cola. La sua caratteristica principale è data dalle cellule sugherose che sono fortemente elastiche e imputrescibili, non consentono scambi di liquidi, sono privi di elementi tossici e resistenti agli attacchi dei più svariati agenti distruttivi.

Per tali caratteristiche viene utilizzato anche per la produzione di tappi per vini, avendo però l'accortezza di fare una adeguata scelta qualitativa.

Il sughero viene prodotto dalla corteccia di una pianta detta appunto “quercia da sughero” (Quercus suber). Essa predilige il clima mediterraneo e i terreni ricchi di potassa. Tali condizioni ambientali sono precisamente quelle di una ristretta fascia del bacino mediterraneo.

Restauro di mobili

Nell'ambito delle arti decorative gli artigiani del settore raggiungono notevoli livelli espressivi. Sono in grado di riportare al primitivo splendore mobili e dipinti antichi, far risplendere di nuovo l'oro un pò appannato dagli anni delle cornici e delle tavole vetuste. E' facile farsi tentare di rifare il divano, cambiare l'imbottitura, sostituire il tessuto delle poltrone del salotto. Numerosi sono i tappezzieri etnei che si fanno apprezzare per precisione e perizia con cui rivestono a nuovo i nostri mobili preferiti.

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 Impagliatura e cesteria

Si tratta di un'attività artigianale, frutto di un'antica tradizione le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Pressoché sterminato il numero di oggetti che gli artigiani del settore producono, o riparano ancora oggi: sedie, cappelli, ventagli, cestini, mobili ed altro ancora. In passato persino l'imbottitura dei cuscini e dei materassi era spesso di paglia (crine) e richiedeva l'opera dell'impagliatore perché la si potesse rinnovare senza correre il rischio di farla ammuffire.

Un tempo il lavoro del cestaio era abbastanza fiorente per la realizzazione di panieri e ceste di diverse forme e dimensioni, per il trasporto dei prodotti agricoli. Fondamentalmente venivano utilizzate canne e verghe, data l'elasticità, la leggerezza e la facile reperibilità.

Nell'ambito di una così variegata produzione non era insolito che si diffondessero figure di artigiani ultra specializzati. Era questo il caso della figura dell'impagliatore addetto alla costruzione, o riparazione, delle sedie. Artigiano che, in dialetto, era individuato con il termine di 'mpaghiaseggi. Altra figura d'impagliatore era quella dell'artigiano specializzato nei cestini, c.d. fasceddi, destinati a contenere una particolare tipologia di ricotta detta appunto di fascedda. Oggi la produzione degli artigiani del settore si concentra, oltre che nella classica costruzione o riparazione di sedute per sedie, in lavori d'impagliatura e cesteria nei settori dell'oggettistica e degli elementi d'arredo.

"Cufinu" impagliato

Cestaio

Paniere con acqua

    

La cartapesta

L’origine della cartapesta viene attribuita ai cinesi che intorno all’anno zero trovarono il modo di utilizzarla negli elmi e nelle armature dei guerrieri. Dalla Cina, passando per il mondo arabo, la carta arrivò in Europa nel X sec. d.C. Durante la seconda metà del 700 si cominciano a trovare oggetti di arredamento in carta pressata, mentre dall’Oriente arrivarono paraventi, paralumi, ombrelli, tavolini e vasellame vario. Nell’800 mobili in cartapesta si possono trovare sia in Europa che negli Stati Uniti ed in Russia. Al giorno d’oggi la tecnica della cartapesta viene usata in Messico, India, Pakistan, Kashmir, Filippine, Giappone, per la fabbricazione di scatole, vassoi, cofanetti, maschere e sculture di vario tipo. L’Italia è famosa nel mondo per le maschere veneziane ed i Carri di Carnevale. La cartapesta è un materiale costituito essenzialmente da un preparato di acqua, colla, gesso e carta. Le colle solitamente usate possono essere la colla vinilica, la colla di pesce o la colla di farina. Questo procedimento prevede varie fasi: la prima è rappresentata dalla creazione del modello in argilla con una colata di gesso, su questo modello si ottiene il calco, all’interno del quale vengono poi applicate le strisce di carta imbevute di acqua e colla. Dopo molte ore necessarie alla asciugatura si stacca il lavoro di cartapesta e si dipinge con colori acrilici o a tempera. La lavorazione si conclude con uno strato di vernice lucida.

I primi carri di cartapesta si costruirono ad Acireale nel 1880. Da allora fino ai nostri giorni Acireale ha mantenuto questa tradizione servendosi di tanti cantieri portati avanti da volenterosi artigiani. Negli anni '50 - '60 ai carri allegorici ed alle macchine infiorate, si affiancano dei mini-carri, detti "lilliput".

 

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