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      Abiti e ricami

Abiti e moda

        L'uomo sin dalla preistoria ha avvertito la necessità di coprirsi, facendo ricorso a pelli e indumenti semplici. Con lo sviluppo della civiltà, e sotto l'influenza del sentire religioso e del gusto, la foggia degli abiti iniziò a differenziarsi da paese a paese, passando dai fasti dell'espertissimo artigianato egiziano e dagli stupendi tessuti cinesi, alle originali idee sartoriali greche e romane. Dopo un lungo periodo di scarso interesse, si arriva al mortificante e pruriginoso Medioevo: nell'abbigliamento, influenzato dai Barbari, fu introdotta una netta differenziazione fra l'abito maschile, a due pezzi "brache e giubba", e l' abito femminile, lungo ed aderente. Le nuove fogge furono comunque piuttosto semplici e si accompagnarono ad una pessima trascuratezza dell'igiene e della pulizia.

       Nello splendore del Rinascimento, l'Italia, alla testa del mondo civile, diventa la "Regina della moda". Le donne, in questo periodo, indossavano una gonna lunga arricciata, unita ad un corpetto attillato con ampia scollatura quadrata e maniche riccamente lavorate; le pettinature erano semplici sulla fronte alta, ma i loro ornamenti, veli, nastri, reti di perle, erano superbi. I guanti diventarono un segno di lusso, fatti di stoffa o maglie di seta, o di pelli, ricamati, profumati, con molti anelli sovrapposti. Diffusissimo era l'uso di gioielli di finissima fattura, anelli, braccialetti, collane, fibbie, medaglie ecc.

Nel Seicento l'abbigliamento maschile diventa più sfarzoso e vistoso di quello femminile. Brache larghe fermate al ginocchio con fiocchi e rosette, giubba lunga attillata alla vita ed allargata sui fianchi, polsi arricciati di merletto che escono dalle maniche, mantello rotondo corto, stivaloni, guantoni, ed ampio feltro piumato sopra i capelli funghetti; volti con tanto di baffi e pizzo.

La rivoluzione industriale, iniziata nell'Ottocento, porta anche un cambiamento nei gusti e nei costumi. Essa iniziata nel campo tessile, coinvolge subito l'abbigliamento.

       La moda, "specchio dei tempi", non rimane insensibile ai cambiamenti che si verificano. Il costume maschile diventa sempre più "serio" nelle stoffe e nei colori, nel rifiuto di fronzoli e di accorgimenti estetici trovano posto la cravatta e il panciotto.

All’inizio del ‘900, si accentuano le caratteristiche che differenzieranno l'abbigliamento moderno da quello dei secoli precedenti. Si arriva ad una semplificazione delle fogge e degli ornamenti e ad una attenuazione delle differenze tra abbigliamento maschile e abbigliamento femminile. Ciò si deve all'aumento del livello medio di vita delle classi sociali e alla maggior diffusione di tessuti meno costosi ma di bella apparenza, grazie allo sviluppo dell'industria e dei commerci. L'attenuazione delle differenze non portò tuttavia ad un livellamento del gusto o ad una spiacevole mancanza di fantasia e di differenze estetiche. Tra i tipi di abiti che si affermarono ricordiamo il tailleur, abito in due pezzi di ispirazione maschile nella foggia, e la gonna corta, che verso il 1927 giunse addirittura a scoprire le ginocchia.

L'imitazione dell'abbigliamento maschile fu poi più decisa nell'uso della gonna-pantalone e si accentuò sino ad identificarsi con quello nell'abbigliamento sportivo. Lo sviluppo della grande industria, i facili spostamenti e le possibilità di diffusione rapida offerte dalla stampa specializzata mettono alla portata di tutti le novità della moda. D'altra parte nel mondo d'oggi le differenze nell'abbigliamento tra paese e paese, almeno nel mondo occidentale, tendono a minimizzarsi, come pure stanno molto attenuandosi tra le varie classi sociali, e possono distinguersi non più dalle fogge, come in passato, ma solo dall'impiego di materiali, fatture ed ornamenti più o meno di lusso.

Vengono abbandonati anche abbigliamenti indicativi di particolari condizioni, come il lutto o di mestiere, salvo l'uso della "tuta" protettiva. Nemmeno i contadini indossano più i loro costumi regionali, se non in occasione di feste folkloristiche.

In un tale contesto l’artigianato sartoriale ha subito profondi cambiamenti, specie nell’ultimo cinquantennio.

Fin dalla prima metà del XX secolo era usanza diffusa e spesso necessaria provvedere da sé al confezionamento dei vestiti.

     Le donne dei ceti medi e bassi sapevano arrangiarsi bene soprattutto dopo l'ingresso nelle case delle macchine da cucire e grazie all'obbligo di frequentare nelle scuole professionali corsi di lavori femminili.

L'arte del confezionamento di abiti su misura, esplosa negli anni 60, ha generato una serie di figure, oggi in via di  estinzione: dal modista al bustaio, dal cravattaio al camiciaio, passando dal sarto.

La bottega del sarto ha sempre avuto un fascino straordinario: enormi specchi, metri attaccati al muro della saletta di prova, tavoli pieni di riviste, manichini e soprattutto gigantesche forbici utilizzate con maestria per tagliare le stoffe. Spesso le botteghe diventavano veri e propri punti di riferimento della vita sociale cittadina. Infatti nelle "putié", mentre l'artigiano seduto sul suo sgabello era intento a tirare punti, circondato dagli apprendisti, i clienti, in attesa di provare il vestito, si raccontavano storie di ogni genere.

Con l’arrivo del pret-à-porter, l'artigianato sartoriale ha perso gran parte della sua importanza. Va detto però che gli abiti acquistati nei negozi, per quanto studiati nei minimi particolari, hanno bisogno di essere sistemati prima di essere indossati. Accorciare, allargare o riparare un indumento è un attività che non tutti sono in grado di svolgere in modo corretto, per cui bisogna fare ricorso al sarto.

          Oggi più che mai la moda dà luogo ad industrie assai fiorenti: calzature, feltri, bigiotteria, cosmetici, ecc. le quali devono il loro incremento anche al fatto che le classi popolari seguono la moda. Il mercato delle vendite si è quindi enormemente ampliato ed è per l'Italia di grande importanza dal punto di vista economico, per la quantità, la qualità ed il valore dei prodotti esportati in tutto il mondo.

Nonostante la sua posizione decentrata rispetto alle capitali della moda, Catania sta vivendo un importante momento per il rilancio del settore.

L'attività degli Enti pubblici e privati commerciali e artistici, nell’intento di richiamare interessi economici del nostro territorio, svolgono una sinergica azione di promozione e di sostegno di numerose iniziative finalizzate ad accrescere la popolarità dei disegnatori, stilisti e operatori della moda locale.

In particolare l’Ente Provincia agendo in sintonia con Enti locali, Associazioni del settore, rende possibile la realizzazione di eventi di moda, sfilate, per far conoscere le produzioni di sartorie e di stilisti.

E così, sulla scia della già affermata Marella Ferrero, vanno in passerella:

- gli abiti da sposa presentati da Morena Drago & Luisa Cicirello, che giocano interamente sulla contrapposizione tra sacro e profano, con un corpetto classico dai toni chiari, ricco di disegni a ricamo tipici delle antiche tecniche di lavorazioni sartoriali siciliane, contaminato da un velo nero tutto ricamato che riporta alla mente gli abiti neri che portavano le donne colpite da un lutto nella antica tradizione isolana.

- gli abiti da sposa realizzati dal giovane designer catanese Alfonso Zappulla, che sembrano appartenere ad un guardaroba principesco, arricchiti da giochi di strass swarovsky misti a delle tecniche di lavorazione da fare invidia alle sartorie più prestigiose, per poi non parlare dei giochi di trasparenza dovuti ad un sapiente utilizzo degli chiffon.

- la collezione firmata dalla giovane stilista acese Viviana Tomarchio è tutta giocata sulle trasparenze della serie vedo non vedo, che arricchiscono una collezione che tratteggia la purezza della natura interpretata con una certa dose di originalità.

- la collezione del giovane designer siciliano, Antonio Catanzaro, che si è divertito a miscelare: denim, seta, georgette, pizzi e pelli, risultato? una collezione divertente fatta di tagli e intarsi, ricami e sovrapposizioni varie che hanno dato vita ad un gioco di colori degno del più bello paesaggio siciliano.

- la collezione di Giampiero Nicita, imperniata sulla donna androgina; una moderna amazzone che usa le armi della seduzione per conquistare nuovi spazi. Una collezione ricca di colori, il rosso, in particolare su tutto, attraverso cui il giovane designer etneo gioca mettendo insieme come un complicatissimo puzzle vari tessuti, dal classico jeans alla pelle, dai rasoli di lana ai pizzi, con un tocco qua e la di velluti e seta.

Il ricamo

           L'attrezzatura della ricamatrice è estremamente semplice: un telaio composto da quattro assicelle, tra le quali tendere con infinita cura la tela da decorare con la seta prima, con il refe poi, con una vasta scelta di punti; la balla, o cuscino, su cui muoverà i fuselli ricavando, con il semplice incrocio dei fili attorno allo spillo che marca il disegno, le piccole falsature e i merletti, che già dal Quattrocento hanno iniziato a impreziosire le sue tele. E per ultimo l'arnese dei miracoli, ovvero l'ago, strumento con cui le agili mani delle artigiane realizzeranno capolavori.

Sulla stoffa i tipi di ricamo più frequenti sono il punto Cinquecento, il punto d'ago, quello tagliato, con applicazioni di filet, tombolo, chiacchierino, cantù e rinascimento di tovagliati e tendaggi destinati a far trionfale mostra di se nelle abitazioni dei fortunati cultori di quest'arte; ma non mancano altri punti quali il Firenze, pieno, d'ombra, croce, d'Assisi, Medici, norvegese, pisano, inglese.

           Nel ricamo, nei pazienti lavori femminili, era infatti racchiusa per le catanesi la rappresentazione, fedele e sottilmente complicata, di tutto un universo simbolico che i disegni del ricamo riuscivano a rappresentare e celare allo stesso tempo.

Era tutta nell'attesa delle nozze, e poi delle nascite, e ancora di altri eventi lieti legati al ciclo delle stagioni, delle feste religiose, della vita insomma, la felice consapevolezza che quello del ricamo era molto più di un semplice passatempo per abbellire un tessuto, per quanto prezioso questo fosse. Era in gioco molto di più. La propria sorte, innanzitutto. E delle meraviglie silenziose raccontate per filo e per segno (è il caso di dirlo) in queste superbe opere d'arte, sono depositarie due cittadine altrimenti tanto diverse: Castiglione, nella valle dell'Alcantara e Mirabella, nella valle dei Margi.

Le castiglionesi sono abilissime a realizzare arazzi e ricami che sembrano ispirarsi alle decorazioni delle splendide chiese in pietra lavica, e delle fastose guglie dei campanili.

Analogo è il fascino che si respira tra i vicoli di Mirabella. Il negozio è un'invenzione successiva, magari anche un pò ingombrante: andate per le strade, fermatevi a curiosare nei cortili, negli slarghi fra una casa e l'altra. E li che nascono gli incontri più straordinari, che si intrecciano le idee più singolari. E lì, insomma, che si trovano quei pezzi unici che sembrano non avere tempo. Al Museo Permanente del Tombolo finissimi merletti, traforati chiacchierini, pizzi quasi evanescenti raccontano le meraviglie dei rituali - tutti al femminile - legati al progressivo accumularsi di tele e stoffe nella cascia destinata al corredo. Tempi ormai tramontati, quando al matrimonio ci si preparava fin da bambine e alla madre spettava il compito cruciale di scegliere i motivi e le stoffe migliori, e affidare poi il lavoro alle mani più esperte, che spesso appartenevano alle bizzocche di paese, le anziane zitelle che insegnavano la preziosa arte a stuoli di giovanissime allieve o alle monache dei conventi.

          I capi più pregiati per tradizione avevano un uso limitato a situazioni particolari, e potevano essere tramandati di madre in figlia magari senza neppure m ai indossati. Diversamente da oggi, con il bello entrato prepotentemente nelle nostre case, in passato si assisteva alla sottile contraddizione di una raccolta di indumenti destinati all'uso, che per definizione invece vi sfuggivano con tenacia.

Una contraddizione oggi dimenticata. E non fanno che ripetercelo: le meraviglie uscite dal tombolo sono fatte per vestire ogni angolo di casa.

La storia di oggi coniuga le liturgie più remote allo spirito imprenditoriale dei nostri giorni, e vede le ricamatrici di Mirabella lavorare a pieno ritmo per impreziosire le creazioni sartoriali dell'alta moda. E se anche la stilista Marella Ferrera ha subito il fascino discreto del merletto applicato sulle candide vesti nuziali, il merito va all'intuito di Angelina Auteri, nobildonna catanese sposa di Ignazio Patemò che nel 1910, aprendo i battenti dell'Opera del Tombolo, istituiva a palaz­zo Biscari, sede del convento delle dorotee, una scuola all'avanguardia.

Non era soltanto un sodalizio dove le ragazze potessero apprendere la peculiare arte del ricamo a mano. Era molto di più. Principalmente il luogo dove finalmente le donne potessero uscire dalla condizio­ne nascosta, appartata, in cui il mondo del lavoro domiciliare era relegato, fin dai tempi più remoti. Si lavorava al telaio per tessere, e poi per ricamare, e lo si faceva il più delle volte in gruppo, un po' per risparmiare sull'olio dei lumi, ma soprattutto per tenersi compagnia, scambiare esperienze di lavoro, di vita familiare. Per fare insomma quello che con valenza negativa è giunto fino a noi sotto il nome di curtigghiu. Chiamatelo come vi pare, ma quell'universo era tutt'altro che da sottovalutare. Come spiegare altrimenti la stupefacente similitudine della leggenda di Sant'Agata, patrona di Catania, tramandata sino a noi come una riedizione cristiana del mito di Penelope?

 

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