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Frutto sulla pianta | dopo la raccolta | smallato | sgusciato | "pelato" | |||||||||||||||||||||
Il pistacchio è stato introdotto in Sicilia dagli Arabi dopo avere cacciato i Bizantini, intorno al 1200. La conferma dell'origine sta nell'affinità etimologica del nome dialettale dato al pistacchio "frastuca" il frutto e "frastucara" la pianta, corrispondenti "fristach" e "frastuch" degli arabi. La specie ha avuto particolare sviluppo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento nelle province di Caltanissetta, Agrigento e Catania. In quest’ultima, ai piedi del vulcano Etna, i comuni più interessati sono Ragalna, Biancavilla, Adrano, Belpasso e soprattutto Bronte (con una superficie di ha. 3.500, circa), la cui economia agricola è in larga misura legata alla coltivazione di questa specie.
Il pistacchio (Pistachia vera) è un arbusto, più raramente un albero di piccola taglia, a foglia caduca, di altezza non superiore ai 6 metri, dotato di radici profonde, dal tronco nodoso e contorto di colore grigio brunastro. L'apparato radicale raggiunge un notevole sviluppo anche in difficili condizioni pedologiche, tanto da diventare pianta pioniera, unitamente al ficodindia e all'olivo dei terreni lavici dell'Etna. La pianta si trova a suo agio su delle rocce laviche proibitive per qualsiasi altro tipo di vegetazione. Il terreno, caratterizzato in prevalenza da rocce che affiorano in superficie, crea degli ostacoli alla meccanizzazione di tutte le pratiche culturali indispensabili e determina elevati costi di produzione. La difficile raccolta su questi terreni è il maggior motivo per il quale si impone ai pistacchieti etnei un ciclo di produzione biennale.
La specie è dioica, per cui si hanno piante femminili e piante maschili (terebinto Pistacia terebinthus, localmente chiamato "scornabecco" o "spaccasassi"). I frutti sono drupe con epicarpo e mesocarpo di colore chiaro che si separano facilmente dall’endocarpo legnoso, spesso deiscente; i cotiledoni dell’unico seme, di colore giallo o verde chiaro costituiscono la parte edule. I semi, ricchi di grassi (54%) e di sostanza azotate (22%), hanno un sapore aromatico. I frutti, riuniti in grappoli, sono delle drupe, con mallo gommoso e resinoso dal colore bianco-rossastro al momento della maturazione, che avvolge il guscio legnoso molto resistente. I frutti di colore verde smeraldo così brillante e un profumo così intenso, resinoso e grasso superano dal punto di vista dell’aroma, del gusto e delle proprietà organolettiche la restante produzione mondiale. I pistacchi vengono raccolti a mano ("a cocciu a cocciu", uno ad uno), direttamente dagli alberi, avendo cura di non farli cadere a terra perché le la presenza di numerose rocce affioranti rendono difficile il recupero. Dopo la raccolta il frutto viene smallato, tramite sfregamento meccanico, con apparecchiature artigianali, e quindi lasciato asciugare al sole per 5-6 giorni. Dalla smallatura del frutto si ottiene il pistacchio in guscio (tignosella), che successivamente viene sgusciato e pelato dai commercianti, prima di essere immesso sul mercato.
La pelatura, cioè la
rimozione dell'endocarpo, avviene oggi attraverso un procedimento
altamente tecnologico mediante breve esposizione del frutto a vapore
acqueo ad alta pressione. Col successivo passaggio alla macchina pelatrice
e mediante lo sfregamento sui rulli, a velocità differenziata, viene
eliminata la pellicola. I verdi pistacchi passano, quindi, in un complesso
circuito d'essiccazione a bassa velocità e da questo nella macchina
selezionatrice elettronica che scarta gli eventuali semi
di colore improprio. Col confezionamento del prodotto, ormai
asciutto (umidità 5-6%), si conclude il ciclo di lavorazione.
La produzione biennale
media siciliana è di circa 16.000 quintali di prodotto sgusciato, l'80%
dei quali viene esportato, mentre il 20% trova impiego nell'industria
nazionale. Il 9 Giugno 2009 sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (2009/C 130/09), è stato pubblicato il disciplinare che conferisce al “Pistacchio verde di Bronte” la Denominazione di origine protetta. |
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