Importanza
dell'ortofrutta
La natura,
regolatrice degli equilibri terrestri e della salute delle sue creature,
offre ortaggi e frutta freschi tutto l'anno, permettendo di scegliere ciò
che ci aggrada in un'ampia e saporosa varietà di prodotti. Sono cibi
fondamentali per l'alimentazione umana, che accompagnano e nutrono l'uomo
sin dalla notte dei tempi, prima ancora che imparasse a cacciare e a
nutrirsi di carne. Tanto è vero che l'Eden biblico e i paradisi di molte
altre religioni sono tradizionalmente ricchi di orti e frutteti.
Il consumo
di frutta e verdura costituisce un fattore protettivo per molte
patologie, quali disturbi cardiovascolari e i tumori, svolgenti una
forte azione antiossidante. Trattasi di prodotti ad alti contenuti
proteine, vitamine (A, C, B2, E, B1), calcio potassio, fosforo,
magnesio, ferro, fluoro, ecc. L'alto contenuto in fibra alimentare, nel
dare il senso di sazietà (senza elevare sensibilmente il livello
calorico della dieta), rende gli stessi prodotti altamente digeribili,
regolando il transito intestinale e riducendo l'assorbimento di acidi
grassi e colesterolo.
Frutta ed
ortaggi possono essere consumati crudi o cotti, e ciò ne modifica
l'apporto di proteine e vitamine. In ogni caso, si tratta sempre di
alimenti necessari al nostro organismo e ci permettono di affrontare
anche diete a basso tenore calorico. In Italia il consumo di prodotti
ortofrutticoli procapite è piuttosto elevato (213 kg di ortaggi e
patate, 132 kg di frutta), ponendo il nostro Paese tra i maggiori
consumatori mondiali. Il consumo, però, è molto difforme, variando per
molti parametri (per individuo, regione, età, mode alimentari, periodi
dell'anno).
Acquistare
sempre ortaggi e frutta freschi permette di evitare che deperiscano poi
nel cestello del frigorifero. Per verificare la loro freschezza, bisogna
controllarne il "tono" (che deve essere "sodo" al tatto e alla vista),
la turgidità del frutto, riscontrare la mancanza di "ammaccature" o
lesioni. Per conservarli, occorre scegliere fra conservazione in frigo o
a temperatura ambiente, in base al prodotto e alla stagione.
Negli ultimi
anni, la commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli è molto
cambiata. Il prodotto finale incorpora una serie di caratteristiche,
alcune delle quali nuove ed oggetto d'una domanda crescente: si tratta
di aspetti come la qualità, la naturalezza del prodotto fresco, la
tipicità, la possibilità di economizzare tempo nel lavoro domestico,
l'accessibilità, ecc., i quali sono tenuti in considerazione crescente
dai consumatori. Ma nelle loro valutazioni di domanda ed offerta nel
comparto ortofrutticolo, gli esperti distinguono e specificano il
consumo, dividendolo in due tipi: convenience e shopping o specialty. Il
primo, preponderante, riguarda l'alimentazione e la salute, funzioni
tipicamente attribuite a questo tipo di prodotti; per acquistarli, il
consumatore non è disposto a compiere alcuno "sforzo" né programmazione
per l'acquisto e consumo; dal punto di vista del mercato, si tratta di
prodotti che presentano una maggiore rigidità della domanda, la quale
tende a restare stabile anche in presenza di variazioni di reddito. In
tale tipo possono ascriversi le produzioni autunno-vernine (insalate,
verdure), primaverili-estive, gli agrumi e in parte la frutta secca.
Il secondo
tipo fa leva invece su bisogni non primari, di carattere
psicosocioculturale, legati alla vita di relazione extradomestica, al
divertimento e alla convivialità, allo stile di vita ed ai valori
personali; sono prodotti evidentemente più cari degli altri, ai quali si
dedica maggior tempo, risorse e pianificazione, poiché in qualche modo
solleticano e soddisfano il piacere e l'autogratificazione; dal punto di
vista del mercato, la loro domanda è decisamente più elastica, legata
sensibilmente sia all'aumento dei redditi sia al diminuire dei prezzi. A
tale tipo possono ascriversi i prodotti esotici, parte della frutta
secca e alcuni prodotti di qualità, particolarmente selezionate.
Un gruppo a se stante è
costituito dalle produzioni biologiche, che negli ultimi anni hanno
suscitato un notevole interesse, raggiungendo la quota di mercato del
6%.
(Nota: parte del testo è stato tratto da
www.enotime.it)
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Concetto di qualità
La qualità, secondo l'European
Organization for Quality Control, è l'insieme delle caratteristiche o
degli attributi che condizionano l'idoneità a soddisfare una determinata
esigenza". Secondo le norme UNI-ISO 8402 "la qualità è l'insieme delle
proprietà e delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio che
conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse o
implicite". Secondo altri "la qualità è l'attitudine di un prodotto a
soddisfare i bisogni dell'utente o ciò che è raccomandabile per il
consumatore. La qualità dunque presenta un aspetto aggettivo legato alle
caratteristiche intrinseche del prodotto (composizione chimica,
caratteristiche nutrizionali, igieniche, strutturali misurabili e
controllabili ovvero le specifiche o standard), ed un aspetto soggettivo
funzione delle esigenze del consumatore, le sue attese per soddisfare i
bisogni reali o presunti, impliciti o espliciti (caratteristiche
sensoriali) o dell'utilizzazione del prodotto (caratteristiche
tecnologiche o idoneità alla trasformazione.
I prodotti
agroalimentari sotto il profilo qualitativo presentano alcuni attributi
peculiari: durata (deperibilità), rischio per la salute (tossicità),
carattere edonistico (procurano piacere, carica socio-culturale). Le
caratteristiche di qualità dei prodotti agroalimentari si possono
classificare in:
- Qualità alimentare,
comprendente qualità nutrizionali e chimiche, edonistiche ed
organolettiche, igieniche endogene (intolleranze) ed esogene
(residui tossici);
- Qualità d'uso o di
servizio (conservazione, marketing, legislazione);
- Qualità tecnologiche
(idoneità a trasformazione).
La globalizzazione e la crescente liberalizzazione dei mercati, hanno
mutato il quadro competitivo internazionale, con la conseguente creazione
di nuove situazioni nei vari comparti, specie nel
settore agricolo e
agroalimentare.
Ciò
rappresenta un rischio per le produzioni di massa, soprattutto per gli
operatori di dimensione economica ridotta quali quelli del nostro
territorio, ma può costituire un'opportunità
per le produzioni agroalimentari di qualità,
se sostenute da una attività di orientamento del consumatore e da una
forte politica di valorizzazione e tutela. Le produzioni “tipiche” o “del territorio” o di "nicchia" fanno parte
della storia e della tradizione produttiva e gastronomica del nostro
paese, rappresentando importanti “attivatori” di sviluppo socioeconomico
per le stesse aree d'origine. Il loro successo di mercato che, nel tempo
si è andato consolidando anche al di fuori dei territori provenienza, ha
purtroppo trovato ostacoli in prodotti succedanei che, in maniera
inopportuna, ne hanno utilizzato il medesimo nome.
Pertanto, bisogna orientare i consumatori a
privilegiare la qualità alla quantità
e favorire una domanda più consistente di prodotti agricoli o
agroalimentari aventi un'origine geografica determinata. Bisogna mirare a
valorizzare il
legame dei prodotti con il territorio di provenienza,
conferendo loro originalità, forte identità e tradizionalità, tutti
elementi fortemente richiesti da un crescente segmento di consumatori,
disposti anche a riconoscere un maggior prezzo in cambio di garanzie
adeguate. Quindi, bisogna puntare sul
concetto di qualità garantita
che si differenzia, agli occhi del consumatore, per mezzo di una sicurezza di tipo istituzionale, quindi nel rispetto delle norme
nazionali e comunitarie.
Le leggi di tutela
(marchi DOC e DOP).
In campo
nazionale la tutela dei prodotti agricoli nasce con il DPR 930 del 12
luglio1963, che ha previsto la istituzione della DOC e DOCG.
La DOC (Denominazione di Origine Controllata) identifica i vini che sono
realizzati nel rispetto del disciplinare di produzione stabilito per
legge. Il disciplinare stabilisce i limiti esatti della zona geografica da
cui possono provenire le uve, le caratteristiche dei terreni dei vigneti,
le tecniche di coltivazione delle viti, i vitigni che possono essere
impiegati e le relative percentuali, la resa massima di uva per ha, la
resa di uva in vino, l'acidità, l'estratto secco. Definisce inoltre la
gradazione alcolica minima, la possibilità e relativa regolamentazione
della vinificazione e dell'imbottigliamento al di fuori della zona di
origine, la tecnica e i tempi di invecchiamento, le pratiche particolari
cui può o deve essere sottoposto il vino.
La DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita), identifica i
vini che, a differenza della DOC, sono stati sottoposti, prima della
commercializzazione, a un esame organolettico effettuato da apposite
commissioni. Queste vengono riunite dalle Camere di Commercio di
competenza per accertare il particolare pregio dei vini e la rispondenza
alle condizioni e ai requisiti stabiliti nei rispettivi disciplinari di
produzione. Superato questo esame, vengono rilasciati al produttore dei
contrassegni del Ministero dell'Agricoltura e Foreste, siglati e numerati,
corrispondenti al quantitativo della partita di vino oggetto di esame, che
dovranno essere posti su ogni bottiglia in modo tale che siano lacerati al
momento della stappatura.
La legge 164/92 nel confermare i
riconoscimenti di qualità sopra indicate,
ha previsto anche
l'IGT
Indicazione Geografica Tipica), attribuita ai
vini da tavola caratterizzati da aree di produzione generalmente ampie e
con disciplinare produttivo poco restrittivo. L’indicazione può essere
accompagnata da altre menzioni, quali quella del vitigno.
In atto
sono stati riconosciuti
418 vini
a DOC, a
DOCG e a IGT.
In campo europeo la tutela della qualità del
comparto agroalimentare ha inizio con l'adozione dei
Regolamenti 2081/92
sulle Dop e Igp
(abrogato e
sostituito dal
REGOLAMENTO (CE) N. 510/2006 DEL CONSIGLIO del
20 marzo 2006 relativo alla protezione delle
indicazioni geografiche e delle denominazioni
d’origine dei prodotti agricoli e alimentari,
abrogato e sostituito dal
REGOLAMENTO (UE) N.
1151/2012 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità dei
prodotti agricoli e alimentari)
e
2092/91 sull'agricoltura biologica
(abrogato e sostituito
Regolamento del
Consiglio (CE) n. 834/2007 del 28 giugno 2007
relativo alla produzione biologica e alle
modalità di etichettatura dei prodotti
biologici.)
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Il
marchio Dop (Denominazioni di origine protetta) è attribuito
ai "prodotti agricoli e alimentari, le cui caratteristiche siano
dovute essenzialmente o esclusivamente all'ambiente geografico
comprensivo dei fattori naturali e umani e la cui produzione,
trasformazione e elaborazione avvenga nel luogo di origine". Occorre
quindi che tutte le fasi del processo produttivo siano realizzate in
un'area geografica delimitata.
L'Igp (Indicazione geografica
protetta), invece è riconosciuta ai prodotti agricoli o alimentari,
le cui qualità e caratteristiche o la cui reputazione siano
attribuibili all'origine geografica e la cui produzione, e/o
trasformazione, e/o elaborazione avvenga nell'area geografica
determinata. E'sufficiente pertanto che una sola fase del processo
produttivo avvenga in una determinata area riconosciuta. Con tale
Regolamento che disciplina le Dop e le Igp, l'UE ha inteso
valorizzare e tutelare la qualità e la tipicità di alcune
produzioni, a sostegno del mondo rurale, soprattutto nelle zone
marginali e svantaggiate dell'Unione europea, cercando nel contempo
di andare incontro alle crescenti esigenze di informazione del
consumatore. Inoltre, si è cercato di favorire l'evoluzione di
sistemi di controllo della qualità basati nel rispetto di specifiche
norme produttive stabilite dai disciplinari di produzione. Si tratta
di regole, istituzionalmente codificate, che devono essere
rispettate dai produttori per permettere loro di apporre il marchio
Dop o Igp, identificato e tutelato in tutta l'area della Comunità.
Il rispetto delle regole, a garanzia dell'imparzialità e della
trasparenza delle procedure di controllo, è assicurato da appositi
organismi di certificazione che, previa autorizzazione degli Stati
membri, verificano la rispondenza dei prodotti al disciplinare di
produzione. Secondo l’art. 2 del reg. 2081/92, si intende per denominazione di origine
“…il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali,
di un Paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare
originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale Paese e la
cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o
esclusivamente all'ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed
umani e la cui
produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell'area
geografica delimitata”. |
Si parla invece di indicazione geografica nel caso
in cui “… il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi
eccezionali, di un Paese serve a designare un prodotto agricolo o
alimentare originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale
Paese e di cui una determinata qualità, la reputazione o un'altra
caratteristica possa essere attribuita all'origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell'area
geografica determinata”. In breve sostanza, mentre nel caso della DOP
risulta che tutto il processo d'ottenimento di un prodotto (dalla materia
prima all’elaborazione finale) fa riferimento all’area della
denominazione, nel caso dell’IGP è sufficiente che almeno una di queste
fasi (produzione di materia prima o trasformazione o elaborazione)
riguardi la zona di denominazione.
Inoltre, mentre nel caso
della DOP occorre che la qualità o le
caratteristiche del prodotto siano riconducibili
all’ambiente geografico di origine, nel caso
dell’IGP potrebbe essere sufficiente il solo
legame tra la reputazione del prodotto con
l’area di provenienza.
Con
Regolamento 2082/92
l’Unione Europea ha istituito le Attestazioni di Specificità (AS) o
Specialità Tradizionali Garantite (STG). Per poter usufruire di tale
riconoscimento, “…un prodotto agricolo o alimentare deve essere prodotto
utilizzando materie prime tradizionali oppure avere una composizione
tradizionale o aver subito un metodo di produzione e/o di trasformazione
di tipo tradizionale”.
A differenza delle DOP e
IGP, la produzione o la fabbricazione di un
prodotto che beneficia di un’attestazione di
specificità non è vincolata ad un’area
geografica delimitata. In altre
parole, chiunque e dovunque – nell’ambito del territorio comunitario – può
produrre o fabbricare un prodotto ammissibile al regime di protezione
della specificità, a condizione che siano rispettate le indicazioni del
disciplinare.
Tali riconoscimenti sono attribuiti dall'Unione Europea previa richiesta
dei produttori, associati in un Consorzio di Tutela, e accurata
istruttoria da parte del Ministero competente. Ad oggi, sono state
registrate in ambito comunitario oltre 250 denominazioni italiane Dop e Igp, le
quali comprendono sia produzioni agricole che agroalimentari.
Il marchio
DOP
è stato concesso ai prodotti: olio
d'oliva Monti Iblei, olio d'oliva Monte Etna, uva di Mazzarrone,
ficodindia del Monte Etna,
Pistacchio verde di Bronte, ficodindia di San
Cono.
E' in corso la procedura per l'ottenimento della DOP per l'oliva da
tavola "Nocellare Etnea".
Il marchio
IGP
è stato concesso al prodotto Vino di Sicilia, all'Arancia rossa
di Sicilia.
Cosa
tutelano i marchi (*)
La registrazione della
denominazione nell’Albo comunitario permette: - il diritto esclusivo di utilizzare la denominazione o l’indicazione
geografica ai produttori che producono secondo il disciplinare (e quindi
non solo a quelli legati al Consorzio o all’Associazione che ha inoltrato
la procedura di registrazione); - la protezione d’ufficio della denominazione o dell’indicazione
geografica in tutti gli Stati dell’U.E. L’ambito della protezione riguarda: - qualsiasi impiego commerciale della denominazione, diretto o indiretto
(per prodotti comparabili a quelli registrati oppure se l’uso della
denominazione protetta consente di sfruttarne indebitamente la
reputazione); - qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera
è indicata, oppure la denominazione protetta è una traduzione oppure la
denominazione protetta è accompagnata da “tipo”, “metodo”, ecc.
-
qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza,
all’origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti; - qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico sulla
vera origine dei prodotti. |
|
Clementine |
|
Uva
Italia |
Il
perché dei marchi di tutela
(*)
L’Unione Europea con
l’emanazione del regolamento 2081/92 ha inteso tutelare da fenomeni di
imitazione e concorrenza sleale i produttori delle aree rurali cui fanno
riferimento i prodotti che possono fregiarsi dei marchi DOP e IGP, e
fornire ai consumatori un'informazione affidabile – in relazione
all’origine ed alla provenienza - circa tali prodotti. Dal punto di vista tecnico, un prodotto DOP o IGP garantisce il
consumatore che tale prodotto è stato fabbricato/ottenuto nella zona
relativa alla denominazione, secondo quanto indicato nel relativo
disciplinare di produzione, stante che i controlli sono realizzati da un
Organismo indipendente e riconosciuto dal Ministero delle Politiche
Agricole e Forestali. Indirettamente, tale denominazione garantisce anche la tradizionalità e
specificità del prodotto (sempre sulla base di quanto stabilito dal
disciplinare di produzione) che, a sua volta, per il consumatore italiano
è anche indice di qualità. Consumare un prodotto DOP o IGP significa anche evocare un territorio, le
sue tradizioni e i suoi valori umani e ambientali, proprio perché la
risultante di tali fattori.
L'acquisto di tali
prodotti, dapprima prerogativa dei consumatori solamente locali o dei
turisti che visitavano le zone di produzione, oggi sull’onda della
notorietà e del successo di mercato che tali prodotti stanno conoscendo, è
possibile reperire tali prodotti sia nei negozi di dettaglio tradizionali
sia nei punti vendita della grande distribuzione. La stessa, con una serie
di iniziative sul tema dei prodotti tipici a denominazione di origine, ha
favorito la conoscenza di tali prodotti da parte del consumatore, che
individua proprio in tale soggetto economico il principale referente per
tali acquisti. I risultati sperati possono essere ottenuti solo se il produttore provvede
ad indicare per ciascun prodotto la esatta denominazione prevista nel
decreto di riconoscimento e il consumatore presta la massima attenzione su
quanto riportato nelle etichette dei prodotti.
La
filiera di un prodotto
(*)
A
conferma delle linee di tendenza sulla sicurezza alimentare e sui relativi
strumenti per garantirla, con
regolamento
comunitario n. 178/2002 è stato
introdotto il concetto della rintracciabilità o tracciabilità di filiera.
Il quadro legislativo che regola tale materia non è ancora ben definito.
Tuttavia, esiste una distinzione netta tra: rintracciabilità cogente
(obbligatoria) e rintracciabilità volontaria. La rintracciabilità cogente, detta anche
rintracciabilità
interna, è obbligatoria dal 2005 così come previsto dal citato
regolamento, che prescrive che tutti gli operatori del settore alimentare
e dei mangimi devono essere in grado di individuare la provenienza di
tutti gli elementi utilizzati in un determinato processo produttivo e la
relativa destinazione del prodotto finito. A tal fine tali operatori
devono adottare sistemi e procedure che consentano di mettere a
disposizione delle autorità competenti le informazioni inerenti tutta la
filiera. La rintracciabilità volontaria detta anche tracciabilità di
filiera riguarda la promozione da parte dello Stato dei sistemi di
rintracciabilità. Essenzialmente si basa sulla norma di riferimento UNI
10939/2001, che definisce i principi e specifica i requisiti per adottare
un sistema di tracciabilità in cui si possa documentare la storia del
prodotto e individuare le relative responsabilità. Secondo tale norma, la
tracciabilità di filiera viene definita come la capacità di ricostruire la
storia e di seguire l'utilizzo di un prodotto mediante identificazioni
documentate relativamente ai flussi materiali ed agli operatori di
filiera. La tracciabilità deve essere riferita ad ogni singola porzione di
prodotto, e deve consentire di risalire ad ogni azienda che ha avuto un
ruolo nella formazione di tale porzione. Con la rintracciabilità viene data ai consumatori una protezione sulla
sicurezza alimentare attraverso il ritiro dei prodotti in caso di
emergenza per prevenzioni sulle frodi; si aumentano le garanzie sulla
identificazione di determinati ingredienti presenti nei vari prodotti
alimentari, avendo la disponibilità immediata delle informazioni
riguardanti la filiera. Esempi di settori dove esiste o è comunque
possibile rilevare una tracciabilità di filiera sono principalmente quelli
della carne bovina (la rintracciabilità e l'etichettatura sono
regolamentate a livello comunitario con il Reg. 1760/2000), dei prodotti
DOP e IGP e di quelli Biologici.
(*)
Testi tratti in parte da: www.enotime.it
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Trasferimento a dorso di asino |
Asino, tradizionale mezzo di trasporto |
Etna, vista da
Maletto |
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